giovedì 1 novembre 2007

Considerazioni su "Fratelli" di G. Ungaretti

Mariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli



  • Superfluo ricordare che Ungaretti qui è in guerra, e che sta vivendo tutta l'atrocità della trincea e della Prima Guerra Mondiale

  • In una poesia metricamente libera come quella ungarettiana, la posizione dà evidente enfasi alle parole: osserviamo fratelli, foglie, fragilità, molto in enfasi e legate perché in inizio di verso e tra loro allitteranti (in particolare, e non credo per caso, fratelli e fragilità: sono le uniche parole a costituire verso da sole...)

  • FRATELLI la parola dà il titolo alla poesia e ne è il fulcro, posta com'è sia all'inizio che alla fine.
    Ma è sempre di troppo.
    Se infatti la togliamo dalla fine, non cambia nulla: staccata com'è dal resto, nel suo costituire verso a sé, costituisce un prolungamento del discorso che quasi lascia perplessi, sfumado così vagamente... Se invece la togliamo all'inizio, cosa otteniamo? Una frase normale: due drappelli di soldati s'incontrano e si domandano informazioni l'un l'altro. Ciò che è anormale, se ci figuriamo la situazione, è casomai rivolgersi a soldati apostrofandoli fratelli. In effetti, è poco realistico. Secondo logica, bisognerebbe eliminare "fratelli". La fratellanza è superflua e fuori luogo.
    Al tempo stesso, nel suo essere superflua, esprime un bisogno profondo: chi parla, per dire una cosa così strana, deve non poterne fare a meno, e nel ripeterla alla fine sembra assaporarla...

  • FOGLIA emblema perfetto di precarietà e debolezza: della debolezza della fratellanza, dell'uomo, ma soprattutto del soldato:

    SOLDATI
    Si sta come
    d'autunno
    sugli alberi
    le foglie

    scriveva Ungaretti dopo aver visto cadere in un bosco, sotto un bombardamento tedesco, soldati e alberi insieme: foglie, soldati (fratelli) e fragilità sono una cosa sola; posta tra fratelli e fragilità, foglia riassume entrambi...

  • FRAGILITA' un capolavoro tecnico. E' in enfasi perché in inzio di verso, perché in fortissimo enjambement, ma soprattutto per lo "sfasamento metrico"!
    Se infatti la strofa fosse

    Nell'aria spasimante
    involontaria rivolta
    dell'uomo presente
    alla sua fragilità


    avremmo 4 versi di lunghezza simile (settenario, ottonario, senario, ottonario) e con rima tra vv 1 e 3: molto più regolare. Ungaretti invece allunga il 3°v di 3 sillabe, rendendolo il più lungo e annullandone la rima, poi lascia fragilità isolata al v 4 (come Fratelli...) in enjambement.
    Metricamente, è un cazzotto su un occhio: la fragilità è stridente.

In guerra non ci sono fratelli, si è soli e perciò fragili, inermi di fronte all'orrore. E contro questo grida istintivamente (involontaria rivolta) Ungaretti, in un grido che è tremante e fragile come una foglia, perché disperato e consapevole della propria stranezza.
In guerra si combatte per la vita, alla fin fine ognuno per sé: ma proprio per questo la fratellanza è il bisogno più grande, unico baluardo contro la fragilità e la precarietà umana. Il soldato ha bisogno di chiamare gli altri fratelli...
Questo, secondo me, il messaggio trasmesso da Ungaretti attraverso la posizione di 3 parole...

mercoledì 17 ottobre 2007

Per non far morire il blog intelligente, ancora sulla scia di De Andrè, Ottocento

Cantami di questo tempo
l’astio e il malcontento
di chi è sottovento
e non vuol sentir l’odore
di questo motor
che ci porta avanti
quasi tutti quanti
maschi, femmine e cantanti
su un tappeto di contanti
nel cielo blu.

Figlia della mia famiglia
sei la meraviglia
già matura e ancora pura
come la verdura di papà.

Figlio bello e audace
bronzo di Versace
figlio sempre più capace
di giocare in borsa
di stuprare in corsa tu
moglie dalle larghe maglie
dalle molte voglie
esperta di anticaglie
scatole d’argento ti regalerò.

Ottocento
Novecento
Millecinquecento scatole d’argento
fine Settecento ti regalerò.

Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie!
Quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar!
E quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni!
E quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar!


Figlio figlio
povero figlio
eri bello bianco e vermiglio
quale intruglio ti ha perduto nel Naviglio?
Figlio figlio
unico sbaglio
annegato come un coniglio
per ferirmi, pugnalarmi nell’orgoglio.
A me! A me!
Che ti trattavo come un figlio...
povero me ...
domani andrà meglio...


Ein klein pinzimonie
wunder matrimonie
krauten und erbeeren
und patellen und arsellen
fischen Zanzibar
und einige krapfen
frùer vor schlafen
und erwachen mit walzer
und Alka-Seltzer fùr
dimenticar

[Un piccolo pinzimonio
splendido matrimonio
cavoli e fragole
e patelle ed arselle
pescate a Zanzibar
e qualche krapfen
prima di dormire
ed un risveglio con valzer
e un Alka-Seltzer per
dimenticar.]


Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie!
Quanti articoli di scambio
quante belle figlie da giocar!
E quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni!
E quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar!



giovedì 2 agosto 2007

Considerazioni su "La Buona Novella" di de André

per info sull'album e i testi, http://www.viadelcampo.com/html/la_buona_novella.html


  • de André non era precisamente un pio cristiano: è ovvio che l'album non è una semplice messa in musica dei vangeli...
  • un brano come Laudate Dominum non ha ragione di esistere: non ha pregi musicali né testuali, poteva tranquillamente essere incluso come incipit ne L'infanzia di Maria
  • Laudate Dominum e Laudate Hominem sono gli unici 2 brani non narrativi, privi di riferimenti diretti ai Vangeli, "atemporali": quasi esprimessero atteggiamenti umani che dovrebbero essere perenni...
  • il titolo è la traduzione di Vangelo, ma l'album si rifà agli Apocrifi, non ai Canonici.
  • il titolo è la traduzione di Vangelo, i personaggi sono quelli dei Vangeli, soprattutto della famiglia di Gesù: ma in tutto l'album Gesù non parla mai, non ne è neanche pronunciato il nome, e a lui si accenna poche volte e vagamente (un nazareno, il Figlio di Dio, figlio mio detto da Maria).
  • Non solo: le tracce dalla 2 alla 5 sono consequenziali, si va dall'infanzia di Maria alla sua gravidanza passando per l'Annunciazione e la sua rivelazione a Giuseppe. Idem per le tracce dalla 6 alla 9: preparazione delle 3 croci, Via Crucis, compianto delle madri dei crocifissi e discorso di un crocifisso (Tito negli apocrifi è il ladrone buono). L'unico forte stacco cronologico (sottolineato anche dalla musica, cfr. l'incipit di Maria nella bottega del falegname) è tra la traccia 5 e la 6, ed è dalla gravidanza di Maria alla Passione di Gesù. 33 anni esatti: in un album sui Vangeli, de André salta a piè pari la vita di Gesù. Come, del resto, la Risurrezione: l'album finisce prima della sua morte!

Perché tutto ciò? Perché l'intessesse di de André non era cantare il Dio fatto uomo, ma gli uomini puri e semplici. Perciò un album sui Vangeli senza miracoli, senza prodigi (la stessa Annunciazione è quasi un sogno, un'allucinazione), e che non canta Gesù, ma gli uomini che l'hanno circondato e il loro rapporto con la Buona Novella.

E questo si vede anche dalla struttura dell'album, che è un vero e proprio percorso: si parte da Laudate Dominum (invocazione canonica, classica, che mette al centro Dio),ma si arriva a Laudate HOMINEM; un'esortazione a ricordarsi che Maria, Giuseppe, i ladroni...erano uomini come noi ("non voglio/devo/posso pensarti Figlio di Dio, ma Figlio dell'Uomo, fratello anche mio": usa un'espressione dei Vangeli ma in senso diverso...). Ed esattamente a metà tra i 2 "laudate" (quindi al centro dell'album), il brano 5, Ave Maria: Laudate Dominum= formula e significato classici, Laudate Hominem = formula e significato stravolti, Ave Maria= formula classica, ma significato stravolto, non è una preghiera alla Santa Madre, ma alla madre come tante, eccezionale perché comune. "Ave Maria adesso che sei donna, ave alle donne come te, Maria".

De André guardava con diffidenza la deificazione della figura di Gesù, ma ne riconosceva comunque l'eccezionalità come uomo: ne Il testamento di Tito, il divino (i 10 comandamenti) è negato, inutile, ma Tito è scosso "nel vedere quest'UOMO che muore...nella pietà che non cede al rancore"...e l'uomo che conta, che fa il mondo...

sabato 7 luglio 2007

La DIFFERENZIAZIONE al livello delle componenti intangibili.

Cito il mio libro di economia riguardo il discorso che facevamo ieri sera al Ludwig. Purtroppo non conosco il titolo nè l'autore del libro, la copisteria ha "evitato" di fotocopiarmeli.

Definizione di DIFFERENZIAZIONE: strategia competitiva e di crescita attuata dalle imprese, "centrata sull'attribuzione al prodotto o al servizio offerto di fattori (tangibili o intangibili) che ne aumentano il valore riconosciuto dal mercato rispetto a quello attribuito ai prodotti o ai servizi concorrenti".

Più avanti, arriva il paragrafo della differenziazione a livello di componenti intangibili, definenita come ciò che "riguarda tutti gli elementi che influenzano la percezione che il cliente ha del valore di un prodotto e del suo posizionamento rispetto a quello dei concorrenti". I due fattori chiave di questa sono:
  • il marchio: "permette di sviluppare la reputazione del prodotto o di trasferire a suo vantaggio la reputazione di cui l'impresa gode sul mercato." [...] La reputazione "contribuisce fortemente a caratterizzare l'identità percepita dal consumatore".
  • "i valori ideali ed esistenziali che il prodotto o l'impresa che lo propone al mercato rappresenta e intende diffondere": [...] "incorprando determinati valori, il prodotto allarga la sua funzione d'uso: oltre determinati bisogni concreti," è possibile soddisfare "l'esigenza del cliente di affermare la sua appartenenza a un certo sistema di idee e valori o addirittura di favorirne la diffusione".
Ma quali aziende al giorno d'oggi propongono valori ideali ed esistenziali?

Considerando che sullo stesso libro si elencano le più astute strategie per stroncare la crescita delle imprese concorrenti ("barriere d'entrata"), per rubare la clientela ad imprese già affermate, eccetera, ha senso parlare poi di valori ideali ed esistenziali?
Ammò le imprese non nascono per far soldi ma per proporre una morale?

Ecco perchè se tu Fiat, per fare una pubblicità mi citi il Papa o Falcone o chi vuoi, io ti do dell'ipocrita, perchè tu dorvesti solo elencarmi i pregi delle tue autovetture in modo che io eventualmente decido di comprarle. E basta. Non hai la posizione per venirmi a dare lezioni di morale, perchè logicamente, in quanto impresa, tu Fiat sei interessata solo al danaro.

domenica 17 giugno 2007

Il triangolo di Elena

Con questo titolo che potrebbe alludere ad un solo chiarissimo doppio senso, chiamo qui tutti a radunarci intorno a questo misterioso fenomeno, pubblicato appunto da Elena nel suo blog.


Riepilogo le riflessioni fatte fin'ora:

il triangolone nella sua globalità dovrebbe avere un'area di 32.5, ovvero (13*5)/2 [base per altezza diviso 2];
scomponendo entrambe i triangoloni nelle sottofigure colorate e calcolando le aree di queste sottofigure, abbiamo le seguenti aree:
- triangolo rosso (8*3)/2 = 12;
- triangolo verde (5*2)/2 = 5;
- zippo giallo 7;
- zippo verde 8;

sommandole assieme, notiamo che il triangolone sopra ha area 32, mentre quello sotto, contandoci anche il quadratino, ha area 33, sicchè l'area precedentemente calcolata si pone come valore medio tra i due.

Volendo, si potrebbe rappresentare lo stesso problema in un'altra forma, forse più simpatica, sdoppiando il primo triangolone, quello senza quadratino bianco, simmetricamente rispetto all'ipotenusa, così da creare un rettangolo.
In questo caso, avremmo un rettangolo la cui area, se calcolata con la formula base per altezza risulta 13*5 = 65, mentre se calcolata come somma delle varie aree delle sue sottofigure risulta 8+7+5+12+12+5+7+8 = 64

Bene, qui stiamo dicendo che un qualcosa non è uguale alla somma delle sue parti, e tutto ciò è molto paradossale.

Spero ci diventiate scemi anche voi, oltre a Elena, a Serri e a me.

P.S. Vi trovereste molto in difficoltà ad accettare che i paradossi esistono e che non possiamo far nient'altro che accettarli e iniziare un'amichevole convivenza con loro? (Ok, frasona da ultra-intellettuale meta-matematico quale non sono, ma fa scena!)

mercoledì 2 maggio 2007

Non morirò del tutto

Orazio è un poeta abbastanza pessimista: "pulves et umbra sumus", siamo ombre e polvere; "carpe diem", vivi il presente, perché non puoi sapere se e quale sarà il domani. Orazio sente l'ineluttabilità della morte e la brevità della vita umana.
Su questi toni scrive 3 libri di odi. Poi "si guarda indietro": guarda ciò che ha scritto, ripercorre la propria opera, e con l'ultima ode del 3° libro proclama


Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non Aquilo impotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.
Non omnis moriar, multaque pars mei
vitabit Libitinam: usque ego postera
crescam laude recens, dum Capitolium
scandet cum tacita virgine pontifex.
Dicar, qua violens obstrepit Aufidus
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens,
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos. Sume superbiam
quaesitam meritis et mihi Delphica
lauro cinge volens, Melpomene, comam.


Ho eretto un monumento più durevole del bronzo
e più grande della regale mole delle piramidi,
non potrà distruggerlo la pioggia che corrode,
non potrà l’Aquilone sfrenato, né l’infinito
scorrere degli anni o la fuga dei secoli.
Non morirò del tutto, gran parte di me
sfuggirà alle esequie*; e crescerò rinnovandomi
di gloria sempre nuova, finché salirà il Pontefice
Massimo con la tacita vergine al Campidoglio.
Si dirà, là dove risuona l’Aufido violento
e Dauno, povero d’acqua, regnò su popoli
agresti**, che io, da umile divenuto potente,
per primo ho portato il carme eolico
nei ritmi italici***. Sii orgogliosa, Melpomene****,
di ciò che giustamente hai ottenuto, e lieta
cingi le mie chiome di delfico alloro.
(traduzione mia, quelle che ho trovato non mi piacevano)



Non omnis moriar...Non morirò del tutto...
detto da Orazio, è (anche foneticamente) un grido: la morte non ha vinto, non tutto finisce. Io, ombra e polvere, crescerò di gloria sempre nuova...

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* Libitina era la dea che presiedeva ai funerali, ho tradotto direttamente esequie
** riferimenti all'Apulia, terra del poeta
*** rivendica l'aver introdotto a Roma molti metri e modelli greci
**** Musa della poesia

giovedì 26 aprile 2007

Analogie..

Sapete cosa hanno in comune la DINAMO e i PICK-UP della chitarra..?
Facile: funzionano con la stessa legge fisica...Legge di Faraday.
Questo tizio aveva scoperto che variazioni di campo magnetico generavano corrente elettrica. Fino a poco prima infatti era solo noto che accadeva il contrario: carice elettriche in movimento(corrente elettrica)davano automaticamente vita a un campo magnetico tutto intorno. Faraday si chiese se fosse vero in un certo senso anche il contrario..in effetti scoprì un effetto che divenne poi importanissimo per il funzionamento di accrichi come quelli di dinamo,pick-up,centrali idroelettriche ecc..e permise in sostanza di generare corrente elettrica sfruttando il magnetismo.(Grazie a lui ora è così facile creare corrente..non ha caso la sua è una delle 5 equazioni che "hanno cambiato il mondo"..)
La dinamo funziona infatti semplicemente grazie alla rotazione di un magnete che,alternando continuamente polo positivo e negativo,genera corrente,la quale viene raccolta da un filo o un solenoide di rame e viene mandata così semplicemente alla lampadina. Nella dinamo da bici per esempio la rotazione del magnete si ottiene semplicemente pedalando..
I pick-up funzionano nello stesso modo sostanzialmente. Essi consistono in piccoli magneti che stanno,come tutti sapete e vedete,proprio sotto a dove si perquotono le corde.Le corde,di metallo,vibrando variando il campo magnetico dei magneti,i quali dentro il pick-up trasmettono la corrente generata ai fili vari che poi la portano all'amplificatore ecc...
Fico è?
Mi diletto in questo periodo con l'ellettromagnetismo...
FACILE DOMANDA: se un astronauta si perde sulla luna,una bussola può magari venirgli utile? UHA.

lunedì 23 aprile 2007

Risolvete questo problema

Un piattino di massa M1= 25g è appeso ad una molla di massa trascurabile e di costante elastica K=15,3 N/m e il tutto è in equilibrio in un piano verticale. Da un'altezza h=9 cm al di sopra del piattino viene lasciato cadere su di esso un peso di massa M2= 2M1, che lo urta in modo completamente anelastico.
Calcolare di quanto si abbassa al massimo il piattino per effetto dell'urto dalla posizione di equilibrio.


Questo problema si risolve in 2 passaggi. é molto molto facile....più facile di quanto possiate credere.
Vediamo chi riesce a risolverlo?

venerdì 20 aprile 2007

Grazie del regalo!

Grazie del regalo regà, ho molto apprezzato, anzi ve lo dico de persona anche se c'ho l'espressività de un bidé.



20/04/2007

Ecco il regalo dei gli attuali residenti in patria, per l'italo-svevo-erasmita...

Tanti auguri!!









Il Bonzo torna stasera (20/04), non ha partecipato... ...sì, siamo degli idioti, ma è stato comunque più pratico che venirti a fare un regalo su per di lì no?...

martedì 17 aprile 2007

Cognizione e Conoscenza

E' ormai quasi un mese che ho iniziato il corso di "Linguistica e Processi Linguistici", che comprende un'ampia parte dedicata a come le macchine (nel nostro caso ci limitiamo ai softwares) riconoscano ed interpretino il linguaggio umano dalla forma d'onda delle parole, alla struttura grammaticale della frase.
Quindi, prendendo come base le lezioni e il libro di testo, sono partito con i miei voli mentali (che forse già proposi in tempi remoti).

Ipotizziamo un software avanzato che interpreta alla perfezione il linguaggio umano anche solo scritto. L'utente umano chiede al software "i pinguini volano?" (primo input). Il sofware non ha in memoria il concetto di "pinguino" quindi lo cerca su Wikipedia e trova "il pinguino è un uccello aptero" (secondo input). Salva in memoria il concetto di pinguino come "uccello aptero". Fa una seconda ricerca chiedendo "aptero" sempre a Wikipedia che gli restituisce il significato "privo di ali" (terzo input). Aggiorna il concetto che ha precedentemente salvato di pinguino con la delucidazione di aptero. Quindi riponde all'utente "i pinguini non volano sebbene uccelli".

Dopo tutti questi giri informatici, il software REALMENTE SA cosa dice? Infondo ha salvato in memoria il concetto di pinguino, in un ipotetico database che sono le sue conoscenze.
Roso dal dubbio e spinto dalla volontà di conoscere mi sono messo a cercare in Wikipedia; ho cercato cognizione:
"
Il termine cognizione (dal latino: cognoscere, "sapere") è utilizzato in diverse maniere per riferirsi alla facoltà per definire l'elaborazione di informazione simile agli esseri umani, l'applicazione di conoscenza e il cambiamento di preferenze. La cognizione o i processi cognitivi possono essere naturali o artificiali, consci e inconsci e per questo motivo sono analizzati differentemente da diverse prospettive e in differenti contesti come la neurologia, la psicologia, la filosofia, la sistemica la scienza dei computer. Il concetto di cognizione è strettamente collegato a concetti astratti di mente, ragionamento, percezione, intelligenza, apprendimento e molti altri ancora che descrivono le capacità della mente umana e le proprietà caratteristiche di intelligenza sintetica. [...]" (Wiki, grassetto mio).

Stando a quanto dice questa definizione, quello che ho descritto sopra è un processo cognitivo artificiale ed inconscio. Quindi il software SA, ha la cognizione del concetto di pinguino.
Allargando un po' le vedute, possiamo arrivare ad affermare che, Wikipedia, intesa come insieme di nozioni inserite in DB, e script che le gestiscono, ha una vastissima cognizione del mondo, più di qualunque altro uomo!

Non pago ho cercato anche conoscenza in Wikipedia:
"
La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenuti attraverso l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori), ovvero tramite l'introspezione (a priori). La conoscenza è l'autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra di loro, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un'utilità inferiori. [...]" (Wiki, grassetto mio)

Ecco perché siamo noi, pelose scimmie sudaticce, a programmare i computers: avranno pure una vastissima cognizioni, ma non sanno quello che dicono!!

mercoledì 11 aprile 2007

Le innovazioni nel campo strumentale: the electric stick


La musica come tutti noi sappiamo si è evoluta nel corso dei tempi, vivendo della creatività dei suoi autori e delle contaminazioni fra le varie popolazioni con le loro tradizioni ( musicali in questo contesto).

E man mano che i musicisti lo richiedevano, degli artigiani specializzati hanno modificato gli strumenti esistenti per crearne di nuovi allo scopo di accontentare le rinnovate esigenze degli strumentisti.

Beh, qualche tempo fa ho cominciato ad interessarmi a questo nuovo strumento:


THE ELECTRIC STICK

Questo strumento è stato creato da Emmett Chapman, un chitarrista attivo in America fin dalla metà degli anni sessanta. Era sia artista solista che accompagnatore, e nel corso della sua attività sentì la necessità di uno strumento che permettesse allo stesso tempo di accompagnare e di esprimersi come solista. Nel '71 si creò da solo il primo esemplare di questo strumento, formato da un tastiera d' ebano e da 10 corde ( 4 da basso e 6 da chitarra).

Lo strumento viene suonato con la tecnica del tapping; ne esistono a 8, 10, o 12 corde permettendo una gamma di note pari a quelle del pianoforte ( se non di più).

Attraverso questo strumento si possono quindi sia ottenere effetti puramente ritmici, sia puri accompagnamenti, sia melodie a due mani.

Per quel poco che sono riuscito a documentarmi ne vengono costruiti alcuni modelli differenti, utilizzando anche legni diversi ( anche se questi influiscono poco sul suono) . L'elettronica la fa da padrone, ed avendo pickup diversi per le corde basse e per quelle alte, volendo si possono utilizzare effetti sia su tutte le corde che solo su quelle di un registro ( più acute o più gravi insomma).
Ecco Bach fatto con lo stick ( il musicista non è dei migliori)

Ed ecco un pezzo più adatto ai metallari


Ed infine Greg Howard ( e direi che questo ci sa proprio fare; qui spiega cos'è lo stick)
Aggiungo un video che spiega come lo stick sia stato usato da molti artisti

martedì 10 aprile 2007

La morte del Lupo

Tradotto da ME cercando di rispettare lo schema delle rime e la lunghezza dei versi.

Per chi volesse l'originale in francese, qui




LA MORTE DEL LUPO

Le nubi sulla luna infiammata correvano
Come sull’incendio si vede salire il fumo,
E i boschi erano neri fino all’orizzonte.
Marciavamo, sul prato umido, silenziosamente,
Tra le edere intricate e tra le alte fronde,
Finché, sotto pini simili a quelli delle Lande,
Abbiamo scorto i segni delle unghie lasciati
Dai lupi errabondi che avevamo braccati.

Ci siam messi in ascolto, trattenendo il fiato

E col passo leggero. -- Né il bosco né il prato

Emettevano un sospiro nell’aria; sola

Gridava luttuosa al ciel la banderuola;

Poiché il vento, che ben alto sulla terra soffiava,

Solo le torri solitarie coi suoi piedi sfiorava,

E le querce dabbasso, contro le rocce scoscese,

Sui gomiti parevano addormentate e distese.

Nulla si muoveva, dunque, finché, chinando la testa,

Il più vecchio dei cacciatori che seguivan la pista

Ha osservato la terra inginocchiato; ben presto,

Lui che sbagliarsi qui mai è stato visto,

Ha dichiarato sussurrando che le tracce recenti

Annunciavano il passaggio e gli artigli possenti

Di due lupi adulti e di due ancora cuccioli.

Noi tutti abbiamo allora sguainato i pugnali,

E, celando i fucili dai traditori barlumi,

Avanzavamo pian piano, scostando i rami.

In tre si fermano, ed io, cercando cosa vedano,

Scorgo d’un tratto due occhi che fiammeggiano,

E poi vedo al di là quattro forme leggere

Che danzavano alla luna in mezzo alle brughiere,

Come fanno ogni dì, davanti a noi in gran confusione,

I levrieri festanti, quando torna il padrone.

Simile la loro forma e simili i movimenti,

Ma i piccoli del Lupo danzavano silenti,

Ben sapendo che a due passi, con sonno leggero,

Dorme tra le sue mura l’uomo, nemico loro.

Il padre era sdraiato, e più in là, a un tronco appoggiata,

La sua Lupa riposava, come quella scolpita

Che adoravano i Romani, il cui i fianco lanoso

I semidei Remo e Romolo copriva amoroso.

Il Lupo avanza e si ferma, le due gambe dritte,*

Piantate nella sabbia con le unghie ritorte.

S’è visto perduto, poiché è stato sorpreso,

La sua fuga stroncata e ogni passaggio chiuso;

Allora ha azzannato, nella sua gola ardente,

Del cane più ardito la gola ansimante,

E le mascelle d’acciaio non ha disserrato,

Malgrado i nostri spari l’avessero colpito,

E, come tenaglie, i nostri aguzzi coltelli

S’incrociassero piombandogli nei muscoli,

Fino all’ultimo istante, quando il cane strangolato,

Morto assai prima di lui, ai suoi piedi è stramazzato.

Allora il Lupo lo lascia e poi ci fissa.

I coltelli gli restavano nel fianco, fino all’elsa,

Lo inchiodavano al prato del suo sangue cosparso;

I nostri fucili lo accerchiavano in un crescendo avverso.

Lui ci guarda ancora, quindi si ristende,

Leccandosi il sangue d’intorno alle sue zanne,

E, senza degnarsi di sapere per cosa sia perito,

Chiudendo i grandi occhi, muore senza un grido.

II

Ho chinato il capo sul fucile scarico di polvere,

Preso a riflettere, e non mi son potuto risolvere

Ad inseguire la Lupa e i cuccioli, che, tutti e tre,

Avevano voluto aspettarlo; e, penso tra me,

Se non fosse stato per i Cuccioli, la bella e triste vedova

Non l’avrebbe lasciato solo al momento della prova;

Ma il suo dovere era di salvarli, al fine

Di potergli insegnare a sopportare la fame,

A non vincolarsi mai con i patti civili

Stipulati dall’uomo con le bestie servili

Che cacciano avanti a lui, in cambio di cucce,

Loro, una volta signore di boschi e di rocce.

III

Ahimè! ho pensato, malgrado il gran nome di Uomini,

Che vergogna ho di noi, per quanto siamo infimi!

Come si debban lasciare la vita e tutti i suoi mali,

Siete voi a saperlo, o sublimi animali!

Se a ciò che in terra fu e si lascia si pensa,

Solo il silenzio è grande; tutto il resto è debolezza.

- Ah! Ti ho ben inteso, selvaggio viaggiatore,

E il tuo ultimo sguardo m’è penetrato fino al cuore!

Diceva: «Se puoi, fa sì che l’anima tua pervenga,

A forza di ristarsene pensierosa e attenta,

Di stoica fierezza a quel siffatto punto

Cui io, nato nei boschi, subito son giunto.

Gemere, piangere, pregare è ugualmente indegno.

Compi il tuo lungo e arduo compito con impegno

Sulla via in cui la sorte ti ha voluto chiamare,

Poi, dopo, come me, soffri e muori senza fiatare.»



Alfred de Vigny,
Écrit au château du M***, 1843.

Traduzione di Gwion_the_Bard, 2007


* Ho tradotto jambes con gambe: non potendo neanche in francese essere riferito ad animali, è evidentemente scelto di proposito da de Vigny per “umanizzare” e far risaltare la figura del lupo, in linea col tema ed altri caratteri del testo (come le maiuscole).


Non so voi, sarò pazzo, ma io mi gaso ogni volta che leggo l'ultimo pezzo...

giovedì 29 marzo 2007

dopo tante diatribe...pausa di riflessione

Disse l'Occhio: "Guardate che bella montagna abbiamo sul nostro orizzonte!". L'Orecchio tentò di udirla, ma non ci riuscì. Allora la Mano disse: "Sto cercando di sentirla, ma non la trovo". Fu la volta del Naso: "Non c'è nessuna montagna, perché non ne sento l'odore".
E tutti giunsero alla conclusione che l'Occhio era in errore.
(K. Gibran, fregata al blog di Chiara...)
La verità non è mai in un solo sogno, ma in molti sogni.
(Le mille e una notte)
Dopo cotante dissertazioni, e in vista di quelle che verranno di sicuro, direi che entrambe le citazioni sono molto valide: dopotutto, credo che la verità difficilmente sia nell'estremizzazione, in una solo aspetto della realtà (solo nella scienza, solo nella letteratura, solo in una teologia, nel parere di uno solo di noi...), piuttosto nell'equilibrio tra gli estremi, nel valore della pluralità, che non è relativismo assoluto, ma solo ammissione obiettiva che nessuno può capire tutto. La realtà è troppo multiforme e sfaccettata per essere rinchiusa in un pensiero, in una idea: sarà sempre una limitazione,ci si perderà sempre qualcosa (che sarebbe poi il feto di 30 giorni della poesia sul mio blog...eheh...).
Insomma, a volte bisogna confidare che l'Occhio dopotutto non sia totalmente scemo e dargli retta...

martedì 27 marzo 2007

...due chiacchiere prima di pranzo, sulla scia di Achille e Patroclo...

Innanzi tutto bisogna rendere note le frasi personali dei due interlocutori su MSN Messenger:

Giaz: "Anche se Dio fosse solo un'invenzione, esisterebbe comunque: nella nostra mente. E non è questo ciò che serve?"

Leonardo: "Sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo - Ermanno Olmi"



Leonardo scrive:

è il Dio creato nella nostra mente che dovrà render conto della sofferenza del mondo

GiaZ-english version- scrive:

GiaZ-english version- scrive:

fusion of sentences

Leonardo scrive:

GiaZ-english version- scrive:

sguai

GiaZ-english version- scrive:

cadendo come una pera cotta

Leonardo scrive:

io sto malaticcio, puttana ladra, non me misuro la febbre per non scoprire di averla

GiaZ-english version- scrive:

quello che dicevo è che i dibattiti sull'esistenza de Dio c'anno poco senso alla fineciò che conta è che l'uomo ne necessita che cambia poi se esista solo nella nostra mente?

GiaZ-english version- scrive:

(ajanon misurarla prima di Gatto almeno)

Leonardo scrive:

teologicamente cambia tutto (no no, non me la misuro)

GiaZ-english version- scrive:

sci ma per la pratica

GiaZ-english version- scrive:

quanti fedeli sono anche teologi affemati alla fine?

Leonardo scrive:

ah, pe la pratica no... se non che si tende a personalizzare la forma di culto, a seconda di come è più facile seguirla

GiaZ-english version- scrive:

uha

Leonardo scrive:

allo stesso modo, quanti fedeli comuni pensano che credono solo in un'entità creata da loro? in generale si crede all'esistenza...

GiaZ-english version- scrive:

io penso che credere non significhi essere convinti che dio esista in uno spazio o in un tempoma significhi averci un dio in testa

Leonardo scrive:

si, l'esistenza non è intesa nel senso materiale del termine, per forza...

GiaZ-english version- scrive:

che poi coincide per molti nella religione in cui si cresce

GiaZ-english version- scrive:

ècapitu? infatti

Leonardo scrive:

infatti è meta-fisico

GiaZ-english version- scrive:

però appunto l'esistenza non materiale sta solo nella nostra menteperchè non è rilevabile dai 5 sensi

Leonardo scrive:

certo, inevitabilmente

GiaZ-english version- scrive:

quindi la domanda: esiste perchè inventato nella nostra mente o esiste perchè esiste nella nostra menteche risposta ha?

GiaZ-english version- scrive:

è una differenza sottile e sfuggevole

Leonardo scrive:

bisognerebbe fa una differenza tra credere nell'esistenza di qualcosa di metafisico e di indomostrabile, e credere in qualcosa che si è creato solo al livello personale, tipo un amico immaginario...

GiaZ-english version- scrive:

insomma ciò che conta è che il nostro intelletto lo rivelapoi se pechè non lo so

GiaZ-english version- scrive:

(che dialoghi atroci prima de pranzo)

Leonardo scrive:

eh, quesso dico che invece non è così, perchè se il mio intelletto rivela l'esistenza di un dio punitore, lontano e vendicativo per esempio, non è come se credi in quello che te dice la Chiesa... (sempre teologicamente parlando, per quello che ne so poi...)

Leonardo scrive:

(sci sci, simo matti...)

GiaZ-english version- scrive:

mahche macellu

GiaZ-english version- scrive:

quasci quasci vomito per sicurezza

Leonardo scrive:

mmm, io spero de non vomità dopo, vista la mia malaticcitudine

Leonardo scrive:

quasi che lo si potrebbe pubblicar esto dialogue...

GiaZ-english version- scrive:

volendo

Leonardo scrive:

sul blog intelligendo, volendo

GiaZ-english version- scrive:

tocca mettece anche la parte in cui vomito per sicurezza però

Leonardo scrive:

sci sci, pubblichimo fino a QUI

venerdì 23 marzo 2007

"I Due"@"Dialoghi con Leocò":Pavese

Superfluo rifare Omero. Noi abbiamo voluto semplicemente riferire un colloquio che ebbe luogo la vigilia della morte di Patroclo.

(Parlano Achille e Patroclo)

Achille: Patroclo, perché noi uomini diciamo sempre per farci coraggio: "Ne ho viste di peggio" quando dovremmo dire: "Il peggio verrà. Verrà un giorno che saremo cadaveri"?
Patroclo: Achille, non ti conosco più.
A: ma io sì ti conosco. Non basta un po' di vino per uccedere Patroclo. Stasera so che dopotutto non c'è differenza tra noi e gli uomini vili. Per tutti c'è un peggio. E questo peggio vien per ultimo, viene dopo ogni cosa, e ti tappa la bocca con un pugno di terra. E' sempre bello ricordarsi: "Ho vissuto questo, ho patito quest'altro" - ma non è iniquo che proprio la cosa più dura non la protremo ricordare?
P: Almeno, nuo di noi la potrà ricordare per l'altro. Speriamolo. Così giocheremo il destino.
A: Per questo, la notte, si beve. Hai mai pensato che un bambino non beve, perché per lui non esiste la morte? Tu, Patroclo, hai bevuto da ragazzo?
P: Non ho mai fatto nulla che non fosse con te e come te.
A: Voglio dire, quando stavamo sempre insieme e giocavamo e cacciavamo, e la giornata era breve ma gli anni non passavano mai, tu sapevi cos'era la morte, la tua morte? Perché da ragazzi si uccide, ma non si sa cos'è la morte. Poi viene il giorno che d'un tratto si capisce, si è dentro la morte, e da allora si è uomini fatti. Si combatte e si gioca, si beve, si passa la notte impazienti. Ma hai mai veduto un ragazzo ubriaco?
P: Mi chiedo quando fu la prima volta. Non lo so. Non mi ricordo. Mi pare di aver sempre bevuto, e ignorato la morte.
A: Tu sei come un ragazzo, Patroclo.
P: Chiedilo ai tuoi nemici Achille.
A: Lo farò. Ma la morte per te non esiste. E non è buon guerriero chi non teme la morte.
P: Pure bevo con te, questa notte.
A: E non hai ricordi, Patroclo? Non dici mai: "Quest'ho fatto. Quest'ho veduto" chiedendoti che cos'hai fatto veramente, che cos'è stata la tua vita, cos'è che hai lasciato di te sulla terra e nel mare? A che serve passare dei giorni se non si ricordano?
P: Quand'eravamo ragazzi, Achille, niente ricordavamo. Ci bastava essere insieme tutto il tempo.
A: Io mi chiedo se anche qualcuno in Tessaglia si ricorda d'allora. E quando da questa guerra torneranno i compagni laggiù, chi passerà su quelle strade, chi saprà che una volta ci fummo anche noi - ed eravamo due ragazzi come adesso che n'è certo degli altri. Lo sapranno i ragazzi che crescono adesso cosa li attende?
P: Non ci si pensa, da ragazzi.
A: Ci sono giorni che dovranno ancora nascere e noi non li vedremo.
P: Non ne abbiamo veduti già molti?
A: No, Patroclo, non molti. Verrà il giorno che saremo cadaveri. Che avremo tappata la bocca con un pugno di terra. E nemmeno sapremo quel che abbiamo veduto.
P: Non serve pensarci.
A: Non si può non pensarci. Da ragazzi si è come immortali, si guarda e si ride. Non si sa quello che costa. Non si sa la fatica e il rimpianto. Si combatte per gioco e ci si butta a terra morti. Poi si ride e si torna a giocare.
P: Noi abbiamo altri giochi. Il letto e il bottino. I nemici. E questo bere di stanotte. Achille, quando torneremo in campo?
A: Torneremo, sta' certo. Un destino ci aspetta. Quando vedrai le navi in fiamme, sarà l'ora.
P: A questo punto?
A: Perché? Ti spaventa? Non ne hai viste di peggio?
P: Mi mette la smania. Siamo qui per finirla. Magari domani.
A: Non aver fretta, Patroclo. Lascia dire "domani" agli dèi. Solamente per loro quel che è stato sarà.
P: Ma vederne di peggio dipende da noi. Fino all'ultimo. Bevi, Achille. Alla lancia e allo scudo. Quel che è stato sarà ancora. Torneremo a rischiare.
A: Bevo ai mortali e agli immortali, Patroclo. A mio padre e a mia madre. A quel che è stato, nel ricordo. E a noi due.
P: Tante cose ricordi?
A: Non più di una donnetta o un pezzente. Anche loro son stati ragazzi.
P: Tu sei ricco, Achille, e per te la ricchezza è uno straccio che si butta. Tu solo puoi dire di esser come un pezzente. Tu che hai preso d'assalto lo scoglio del Ténedo, tu che hai spezzato la cintura dell'amazzone, e lottato con gli orsi sulla montagna. Quale altro bimbo la madre ha temprato nel fuoco come te? Tue sei spada e sei lancia, Achille.
A: Tranne nel fuoco, tu sei stato come me sempre.
P: Come l'ombra accompagna la nube. Come Teseo con Piritoo. Forse un giorno ti aspetta, Achille, che anche tu verrai nell'Ade a liberarmi. E vedremo anche questa.
A: Meglio quel tempo che non c'era l'Ade. Allora andavamo tra i boschi e torrenti e, lavato il sudore, eravamo ragazzi. Allora ogni gesto, ogni cenno era un gioco. Eravamo ricordo e nessuno lo sapeva. Avevamo del coraggio? Non so. Non importa. So che sul monte del centauro era l'estate, era l'inverno, era tutta la vita. Eravamo immortali.
P: Ma poi venne il peggio. Venne il rischio e la morte. E allora fummo guerrieri.
A: Non si sfugge alla sorte. E non vidi mio figlio. Anche Deidamia è morta. Oh perché non rimasi sull'isola in mezzo alle donne?
P: Avresti poveri ricordi, Achille. Saresti un ragazzo. Meglio soffrire che non essere esistito.
A: Ma chi ti dice che la vita fosse questa? ... Oh Patroclo, è questa. Dovevamo vedere il peggio.
P: Io domani esco in campo. Con te.
A: Non è ancora il mio giorno.
P: E allora andrò da solo. E per farti vergogna prenderò la tua lancia.
A: Io non ero ancor nato, che abbatterono il frassino. Vorrei vedere la radura che resta.
P: Scendi in campo e la vedrai degna di te. Tanti nemici, tanti ceppi.
A: Le navi non ardono ancora.
P: Prenderò i tuoi schinieri e il tuo scudo. Sarai tu nel mio braccio. Nulla potrà sfiorarmi. Mi parrà di giocare.
A: Si davvero un bambino che beve.
P: Quando correvi col centauro, Achille, non pensavi ai ricordi. E non eri più immortale di stanotte.
A: Solamente gli dèi sanno il destino e vivono. Ma tu giochi al destino.
P: Bevi ancora con me. Poi domani, magari dell'Ade, diremo anche questa.

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Uno dei miei dialoghi preferiti. L'ho scritto perché so che apprezzerete e pure perché può essere fonte profiqua di idee e riflessioni, quindi andate coi commenti!

mercoledì 21 marzo 2007

Canone Cancrizzante

Ripropongo un racconto che avevo già postato sul blog mio un po' di tempo fa, tratto dal solito "Godel, Escher, Bach - Un'Eterna Ghirlanda Brillante" di Hofstadter.

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Tartaruga: Buongiorno, Achille.

Achille: Altrettanto!

Tartaruga: Che piacere incontrarla.

Achille: Lei fa eco ai miei pensieri.

Tartaruga: Oggi è una giornata perfetta per una passeggiata. Penso che tornerò a casa a piedi.

Achille: Davvero? Credo che faccia molto bene passeggiare.

Tartaruga: Tra parentesi, lei sembra in forma smagliante in questi giorni devo dire.

Achille: Grazie.

Tartaruga: Di niente. Ma ecco: gradisce uno dei miei sigari? È un toscano, un po' forte, ma...

Achille: Lei mi stupisce con questi suoi gusti! In questo campo i contributi olandesi sono di qualità decisamente superiore, non le pare?

Tartaruga: Non sono d'accordo con lei. Ma a proposito di gusti, qualche giorno fa, in una galleria, ho visto finalmente il Canone cancrizzante di M.C.Escher, il suo artista preferito, ed ho ammirato moltissimo la sua bellezza e l'arte raffinata con cui l'autore ha saputo intrecciare un unico tema con se stesso, sviluppandolo simultaneamente in avanti e all'indietro. Ma temo che continuerò a ritenere Bach superiore ad Escher.

Achille: Non so. Ma una cosa è certa: non do peso a questioni di gusto. Disputandum non est de gustibus.

Tartaruga: Oh! Ma guardi questo fiore, le piace? Mi sembra una strana margherita.

Achille: Ad essere precisi appartiene alla famiglia delle viole.

Tartaruga: A me sembra che sia più o meno la stessa cosa. Mi faccia capire meglio, per favore.

Achille: Viole no? C'è una bella differenza.

Tartaruga: Capisco. Ma mi dica, lei suona la chitarra?

Achille: È un mio caro amico che qualche volta l'ha suonata. Ma lei non riuscirebbe a farmi toccare una chitarra neanche con un toscano lungo tre metri.

(Improvvisamente, come dal nulla, appare il Granchio, saltellando tutto eccitato e indicandosi un occhio vistosamente nero)

granChio: Salve, salve, che succede? Che cosa c'è di nuovo? Guardate qui che botto, quest'occhio tutto rotto, che mi ha fatto un iroso giovanotto. Hoo! E in una giornata così bella. Vedete, io stavo ciondolando per il parco, quando s'avanza questo gigante toscano, un buttero d'aspetto animalesco che suonava lento il liuto. Era alto tre metri, se non ho le traveggole. Mi dirigo verso il giovanotto, mi impettisco quanto posso, il mio occhio arriva appena al suo ginocchio, e gli faccio: “Mi scusi signore, ma perchè s'aggira per il nostro parco attoscando l'aria col suo suono lutolento?”. Oh, non l'avessi mai detto! Un essere completamente privo di spirito; o forse era ubriaco, chissà! Perde il controllo e... pah! mi colpisce giusto nell'occhio. Fosse dipeso dalla mia natura, avrei accettato volentieri di sgranchirmi un po' le ossa, ma nel rispetto dell'onorata tradizione della mia specie, ho indietreggiato. Dopotutto quando noi avanziamo, indietreggiamo. È un vizio incallito, non posso farci niente. Guardate pe esempio come scrivo il mio nome: prima scrivo la seconda sillaba, poi torno indietro per scrivere la prima! Vedete infatti dove metto la maiuscola? È nei nostri geni, sapete, girarci in tondo. Io mi sono sempre chiesto – ora mi torna in mente - “Cosa è venuto prima, il granChio o il Gene?”, vale a dire “Cosa è venuto dopo il Gene o il granChio?”. Io muovo ogni cosa in un eterno girotondo, sapete. È nei nostri geni, dopotutto. Quando indietreggiamo, avanziamo. Ahimè, ohibò! Io devo andar per la mia via felice, come un simil giorno inver s'addice. Cantate “Hoo” per la vita di un granChio! TATA! Olè!

(E scompare così come è apparso)

Tartaruga: È un mio caro amico, che qualche volta è un po' suonato. Ma lei non riuscirebbe a farmi toccare un toscano lungo tre metri neanche con una chitarra.

Achille: Capisco. Ma mi dica, lei suona la chitarra?

Tartaruga: Violino. C'è una bella differenza.

Achille: A me sembra più o meno la stessa cosa. Mi faccia capire meglio, per favore.

Tartaruga: Ad essere precisi appartiene alla famiglia delle viole.

Achille: Oh! Ma guardi questo fiore, le piace? Mi sembra una strana margherita.

Tartaruga: Non so. Ma una cosa è certa: non do peso a questioni di gusto. Disputandum non est de gustibus.

Achille: Non sono d'accordo con lei. Ma a proposito di gusti, qualche giorno fa, a un concerto, ho ascoltato finalmente il Canone cancrizzante di J.S.Bach, il suo compositore preferito, e ho ammirato moltissimo la sua bellezza e l'arte raffinata con cui l'autore ha saputo intrecciare un unico tema con se stesso, sviluppandolo simultaneamente in avanti e all'indietro. Ma temo che continuerò a ritenere Escher superiore a Bach.

Tartaruga: Lei mi stupisce con i suoi gusti! In questo campo i contributi olandesi sono di qualità decisamente inferiore, non le pare?

Achille: Per niente. Ma, ecco: gradisce uno dei miei sigari? Non è forte come un toscano, ma...

Tartaruga: Grazie.

Achille: Tra parentesi, lei sembra in forma smagliante in questi giorni, devo dire.

Tartaruga: Davvero? Credo che faccia molto bene passeggiare.

Achille: Oggi è una giornata perfetta per una passeggiata. Penso che tornerò a casa a piedi.

Tartaruga: Lei fa eco ai miei pensieri.

Achille: Che piacere incontrarla.

Tartaruga: Altrettanto!

Achille: Buongiorno, signorina T.

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